Se niente importa nulla è da salvare. Ma se non la pensiamo così dovremmo individuare almeno qualcosa per cui valga la pena costruire una vita degna per noi e per i nostri figli.
E cosa c’è di più importante dell’essere consapevoli di ciò che mangiamo?
Jonathan Safran Foer in questo bellissimo libro un po’ autobiografico ci racconta con la leggerezza di un vero romanziere – ha scritto anche Ogni cosa è illuminata da cui si è tratto un film con Elijah Wood – cos’è la carne, da dove viene e come è prodotta, come vengono trattati gli animali e quali effetti produce il mangiare animali da un punto di vista economico, sociale ed ambientale.
Il desiderio di carne ha modificato negli ultimi 60/70 anni la nostra dieta, ha ridotto la ricca varietà di pietanze che ogni località aveva saputo, da secoli, inventarsi – oggi “gli americani scelgono di mangiare meno dello 0,25 per cento del cibo commestibile conosciuto del pianeta.” – e insieme ha prodotto un’industria gigantesca con un fatturato di centinaia di miliardi di dollari, che impiega milioni di addetti, che occupa un terzo delle terre emerse, che condiziona pesantemente le scelte dei governi e l’ecosistema nel quale viviamo, che rischia di mutare, a discapito della vita, l’intero clima terrestre.
E’ vero, d’altra parte, che l’uomo è onnivoro ma non possiamo ridurci a pensare che per questo motivo sia costretto a mangiare carne. Siamo esseri ragionevoli, in grado di scegliersi il proprio futuro anche a partire da ciò che decidiamo di mangiare.
Se il consumare carne significa provocare sofferenza, significa inquinare il pianeta, significa sprecare risorse preziose, significa contribuire alla diffusione sia della fame nel mondo, sia di pandemie estremamente pericolose, forse dovremmo scegliere di non mangiarne per nulla.
Il problema è però molto più complesso perché ingerire cibo non è solo un atto ragionevole che ha a che fare con il numero di calorie o con la quantità di proteine, vitamine e grassi consumati. Riguarda anche la cultura, la tradizione, le abitudini. Riguarda la convivialità, lo stare assieme e Jonathan Safran Foer mette ben in chiaro questi aspetti. Secondo l’autore il cambiare dieta, quindi, non è soltanto una questione di conoscenza.
Tutti sanno, o possono facilmente sapere, approfittando di ciò che gira per internet, che seguire un animale senziente dal momento della sua nascita manipolata alla sua crudelissima morte significa scoprire l’assoggettamento totale a cui l’abbiamo ridotto ed è peggio che vedere un film dell’orrore.
Jacques Derrida, citato nel libro, sostiene che “in qualunque modo lo si voglia interpretare, qualunque conseguenza di natura pratica, tecnica, scientifica, giuridica, etica o politica se ne tragga, oggi nessuno può negare tale evento, cioè le proporzioni senza precedenti dell’assoggettamento dell’animale. Tale assoggettamento (…) lo possiamo chiamare violenza.”
Si sa altrettanto bene che un onnivoro contribuisce all’emissione di gas serra sette volte più di un vegano.
E pure si conoscono i luoghi da cui provengono i virus nuovi che mettono a rischio la salute di milioni di uomini.
“Stipare uccelli sovradimensionati, imbottiti di farmaci e deformi in una stanza lurida e incrostata di escrementi non è molto salubre. … Dovremo considerare il contributo di cinquanta miliardi di uccelli malaticci e imbottiti di farmaci – uccelli che sono all’origine di tutti i virus influenzali – un’ influentia soggiacente che stimola la creazione di nuovi agenti patogeni pronti ad attaccare l’uomo? E che dire dei cinquecento milioni di maiali dal sistema immunitario compromesso chiusi in spazi ristretti? … Gli esseri umani stanno creando le condizioni perché si produca un agente iperpatogeno, ossia più patogeno di tutti gli altri, un virus ibrido che potrebbe portare grossomodo a una replica dell’influenza spagnola del 1918.”
Gli elementi per conoscere alla perfezione tutti questi problemi sono ormai alla portata di ognuno. Nonostante ciò si continua indifferenti nelle proprie scelte alimentari, spesso dimenticando che l’eccessivo consumo di carne è un’abitudine assai recente: gli americani, ad esempio, mangiano una quantità di pollo centocinquanta volte superiore a quella che mangiavano ottanta anni fa. Forse, sostiene l’autore, non ci si rende ben conto delle enormi possibilità e opportunità che una nostra semplice scelta potrebbe offrirci. Non abbiamo sufficiente coscienza di quanto il mangiare o non mangiare animali possa influire e modificare l’ambiente in cui viviamo e anche i rapporti che intessiamo con gli altri esseri umani e con la natura intera. Forse non ci rendiamo neppure conto che l’enorme potere che hanno le industrie produttrici di carne e i loro alleati produttori di farmaci – anche nel manipolare le informazioni sul cibo – deriva unicamente da una nostra semplicissima e quotidiana concessione.
Ecco perché, ci dice Safran Foer, vale la pena di fornire ancora una volta, tutti quei dati – e il libro ce ne offre in abbondanza – che potrebbero o dovrebbero spingerci ad una semplicissima domanda: perché mangiare carne quando se ne può benissimo fare a meno?
Perché in fondo, anche “mettendo da parte (…) i più di dieci miliardi di animali macellati a fini alimentari ogni anno [nei soli Stati Uniti], mettendo da parte l’ambiente, i lavoratori e gli altri temi correlati come la fame nel mondo, le epidemie influenzali, la biodiversità, c’è anche la questione di come noi pensiamo noi stessi e ci pensiamo gli uni con gli altri.”