Camminare fa bene alla mente
Fred Vargas ha creato personaggi strambi e affascinanti che, pur essendo marginali rispetto i canoni dominanti in letteratura, sono rappresentativi della realtà contraddittoria in cui viviamo. Non a caso ebbe a dichiarare, in una intervista di qualche anno fa, di amare la realtà più che il realismo.
In tre suoi romanzi – Chi è morto alzi la mano, Un po’ più in là sulla destra, Io sono il tenebroso – compaiono come protagonisti tre storici sbandati e senza denari, Marc, Lucien e Mathias – gli Evangelisti – il primo specializzato in medio evo, il secondo esperto della prima guerra mondiale e l’ultimo archeologo specializzato in preistoria. Essendo ricercatori precari sono costretti, oltre che continuare i propri studi e a scrivere di tanto in tanto articoli scientifici, ad accettare ciò che il mercato offre loro, stirando camice ad esempio, o facendo altri lavori temporanei e mal pagati esattamente come fanno molti giovani intellettuali che frequentano o ruotano attorno le nostre università.
Per risparmiare e riuscire quindi a sbarcare il lunario vivono in un’unica casa, come fosse una comune, insieme al vecchio zio di Marc, Armand Vandoosler, un ex poliziotto cacciato per corruzione.
precarietà, caratteristica comune a molti dei personaggi di Vargas, dona loro molto tempo libero. I tre Evangelisti utilizzano quello di cui dispongono per dare soluzione ai casi in cui vengono coinvolti, in collaborazione con il vecchio zio Armand o aiutando Ludwig Kelweihler, uno strano ex poliziotto zoppo che gira sempre con un rospo di nome Bufo nelle tasche o, ancora, partecipando alle indagini del commissario Adamsberg della polizia di Parigi.
Jean-Baptiste Adamsberg, compare per la prima volta nel 1991 in un romanzo intitolato L’uomo dei cerchi azzurri. Ricompare nel 1999, dopo la trilogia dedicata ai tre Evangelisti, nel romanzo L’uomo a rovescio. Negli anni seguenti vengono dati alle stampe I quattro fiumi, Parti in fretta e non tornare, Scorre la Senna, Sotto i venti di nettuno, Nei boschi eterni, Un luogo incerto. Nel 2011 esce, con lui protagonista, La cavalcata dei morti.
Adamsberg lavora in un commissariato di polizia, circondato da collaboratori pieni di tic e piccole manie, invidie e rancori. Lui stesso è un tipo stravagante, che si veste male e che ha cattive abitudini. E’ considerato dai colleghi poco più di un demente, non fa discorsi, né sa scrivere rapporti nella forma adeguata; non riesce neppure a seguire un ragionamento troppo lungo e articolato. Non è metodico, né molto raziocinante ed è definito spalatore di nuvole, ad indicare la dimensione altra in cui vive. Eppure, nonostante ciò, risolve tutti i casi che gli sono affidati utilizzando meravigliosamente tutte le qualità e i difetti dei suoi più stretti collaboratori.
Il lettore stabilisce con lui un istintivo e forte rapporto di simpatia pur non riuscendo a capire esattamente quali percorsi segue la sua mente.
Eppure il suo segreto è molto semplice: ciò che fa non può essere riprodotto con concetti e parole perché Adamsberg non segue nessun percorso logico. E’ per questo motivo che il lettore, abituato dagli altri investigatori famosi che la letteratura ci ha regalato, fatica a capire cosa succede nella sua mente.
Egli appare, ad una prima lettura, inspiegabilmente lento e forse solamente fortunato. Sembra rimanersene fermo a lungo, come se aspettasse che il caso, gli individui e le vicende vadano a lui. Ma, anche ammesso che sia così, come gli è possibile poi distinguere e riconoscere, fra la gran massa di informazioni e dati e sensazioni che gli passano sotto gli occhi, soltanto ciò che torna utile alla sua inchiesta?
Il fatto è che il nostro commissario possiede due strabilianti doti: una grande sensibilità e la conoscenza, seppur vaga e solamente intuita, di come si possano ricreare, al bisogno, quelle condizioni mentali atte a districare l’intrigo in cui fino all’ultimo sembra soffocare.
Si potrebbe dire che la sensibilità lo apre alla conoscenza ma ciò gli è possibile perché elabora una condizione mentale in cui l’intuizione, spaziando liberamente, può cogliere tutti i possibili e necessari nessi, anche quelli invisibili ad una normale mente perché talmente distanti da apparire scollegati.
Non è un processo conoscitivo difficile da intendersi. E’, all’incirca, lo stesso che normalmente utilizza qualsiasi grande artista.
Adamsberg è quindi un’artista che ha scoperto nella pratica come fare ad aprire la sua mente. Ha scoperto che basta camminare.
Il camminare impedisce alla sua mente di soffocare nei piccoli ambiti che circoscrivono un delitto. Lo costringe ad evitare la permanenza ossessiva in quel giro ristretto in cui è possibile solo la ripetizione infinita – fino alla pazzia – dei limitati e parzialissimi dati che sono immediatamente conosciuti.
In questo Adamsberg è agli antipodi di quei suoi colleghi americani che fanno della scena del crimine, esaminata con aggeggi moderni e sofisticati, il luogo principale in cui girarsi e rigirarsi.
Mentre cammina non riflette mai. Lascia che la sua mente si liberi da ciò che appare evidente e troppo vistoso. Probabilmente ne lascia fuoriuscire anche ogni pensiero e ogni ricordo, così che possa essere ricettiva al massimo grado fino a farsi penetrare e invadere da sensazioni, colori e odori nuovi.
La freschezza interiore ottenuta gli consente di scorgere la verità.
Si potrebbe dire che il camminare dona al commissario Adamsberg una certa ubiquità della mente che gli dona orizzonti più ampi di quelli in cui è circoscritto un intelletto abituato ad utilizzare la solita e prevedibile logica.
Conseguentemente un personaggio come Jean-Baptiste Adamsberg ha bisogno di grandi spazi. Non a caso le storie in cui si trova spesso contemporaneamente immerso, sono molteplici e apparentemente complesse e lontane le une dalle altre.
La cavalcata dei morti inizia con l’omicidio di una vecchia, risolto in poche pagine grazie a qualche briciola di pane e ai discorsi apparentemente sconclusionati di un cruciverbista a cui Adamsberg dà invece molto ascolto.
Subito dopo si verifica a Parigi l’omicidio di un ricco industriale, bruciato nella propria auto. Viene accusato un giovane ribelle solo perché ha al suo attivo altre auto incendiate. Nel contempo una vecchia signora bretone chiede l’aiuto del commissario perché i suoi figli potrebbero essere in pericolo. Sua figlia Lina, ha visto la masnada di morti guidata da Hellequin cavalcare e trascinarsi appresso quattro suoi concittadini. L’antica leggenda racconta che essi sono destinati a morire ma che anche coloro che li vedono rischiano di essere linciati dal popolo spaventato dalle loro visioni.
Adamsberg decide di recarsi in Normandia dove, ben presto, si susseguono omicidi e tentati omicidi. Deve risolvere anche il problema di un figlio adulto che ha scoperto di avere da pochissimi mesi e il dissidio di due fra i suoi migliori collaboratori. Ed è ossessionato dal seno di Lina. Ma alla fine, grazie alle sue consuete ed estranianti passeggiate, riuscirà a trovare tutte le necessarie risposte.
Gli argomenti scelti da Fred Vargas e la precisione scientifica con cui vengono trattati, risentono del suo essere una ricercatrice specializzata in archeozoologia e medievistica. La diffusione della peste e in particolare i meccanismi con cui si trasmette all’uomo dagli animali, sono stati oggetto di sue specifiche ricerche scientifiche e, non a caso, sono al centro della vicenda narrata in Parti in fretta e non tornare pubblicato nel 2001. In altre sue storie compaiono leggende di vampiri, di uomini lupo, di cerchi magici, fino ad arrivare all’ultimo romanzo in cui elemento centrale è la cavalcata furiosa dei morti guidati da Hellequin.
Queste leggende di origine medioevale e forse di epoche ancora più remote, permeano tuttora le mentalità. Esse complicano o spiegano il carattere degli individui a seconda che ad indagare sia un semplice poliziotto o il grande commissario Jean-Baptiste Adamsberg.
NOTA: Della leggenda di Hellequin o Herlechinus parla lo storico torinese Carlo Ginsburg nel suo stupendo saggio Storia notturna. Una decifrazione del sabba – Einaudi, 1989 – pag. 78 e 171