L’eresia non ha a che fare solo con la ragione ma con l’intuizione e l’arché, la forza primordiale “creatrice di ogni trasformazione” che si ribella, in nome di Dioniso, all’ordine di Apollo, il fondatore di città. Le eresie assomigliano alle intuizioni che “non sono affatto in contrasto con la razionalità, anzi forse ne sono l’anima” e come loro “sono spinte vitali (tese) ad oltrepassare gli orizzonti dati”.
Per avvalorare questa tesi don Enzo Mazzi, fra i principali animatori dell’esperienza fiorentina della Comunità dell’Isolotto ed esponente di primo piano del movimento legato alle comunità cristiane di base, esamina alcune eresie.
Il regno dello Spirito di Gioacchino da Fiore corrisponde al regno della maturità e della libertà dell’uomo; il mondo di Giordano Bruno, in cui la natura non può essere considerata oggetto di dominio da parte dell’uomo perché in ogni sua parte aleggia lo spirito divino; il modernismo di Ernesto Bonaiuti, prete scomunicato e “dichiarato espressamente “vitando”, cioè persona da evitare” che influenzerà anche papa Giovanni XXIII, a sua volta inquisito dal Sant’Uffizio per modernismo quando fu professore di storia a Bergamo; rappresentano alcune aspirazioni al nuovo che si manifestano innanzi tutto contro l’immobilità del potere dominante.
Anche l’esperienza del Savonarola va nella stessa direzione e non a caso la sua “elaborata e affascinante” “sociologia della libertà” è stata accostata a John Warr, profeta della rivoluzione inglese che nella sua opera ha desacralizzato ogni potere.
Ma la tensione al nuovo è bloccata dal potere, dal conformismo e dalla gerarchia. E sebbene “il dogma cattolico (sia) decisamente in declino nelle coscienze”, possiede una simbologia capace ancora di penetrare “attraverso i mille pori dell’inconscio”: l’esempio che don Mazzi fa è quello del crocefisso che rappresenta la violenza e il riscatto trascendentale, cioè senza storia (“Se il sacrificio di Cristo è per sempre, è per sempre anche la violenza che l’ha prodotto”). L’immutabilità della storia è, purtroppo, il vecchio dogma che ha accumunato ogni ideologia, comprese quelle su cui è stata fondata la modernità.
Infatti è proprio un certo dogmatismo laico ad aver acquisito l’eredità cristiana e che continua oggi ad alimentare credenze diffuse nel senso comune che contrastano il diffondersi di un auspicabile cambiamento. A partire da Hobbes si è pensato di risolvere il problema principale della comunità (la paura della morte causata dall’altro, dal diverso, dallo straniero) delegando allo Stato il monopolio della forza. Ma nessun moderno Leviatano può eliminare il persistere dei questa paura, anzi – dice don Mazzi – “lo Stato moderno non ha il compito di eliminare la paura, ma di renderla certa, assumendosi il monopolio della violenza”
E allora è naturale che contro il pericolo del diffondersi dell’’eresia si ergano roghi e si emettano scomuniche ma, dice don Mazzi, “non solo quella scomunica è invalida, (quella contro Savonarola) ma tutte le scomuniche sono invalide e il potere stesso di scomunicare è invalido”
Il fatto è, come disse il vescovo Oscar Romero, che “non è stato perseguitato qualsiasi sacerdote, non si è attaccata qualsiasi istituzione. Si è perseguitata ed attaccata quella parte di Chiesa che si è posta al fianco dei poveri” ed è proprio questo l’elemento che segna una continuità di ispirazioni ideali evangeliche fra alcune eresie e l’attualità della chiesa conciliare.
Purtroppo “la condanna papale senza scampo del relativismo conferma la grande difficoltà che nella società plurale incontra la gerarchia cattolica nel sostenere anacronisticamente il carattere assoluto e quindi unico e immutabile della verità di cui si ritiene portatrice e annunciatrice. E rivela, a mio modo di intendere, – dice don Mazzi – la paura che da due secoli assedia la gerarchia cattolica, con la parentesi di papa Giovanni e del Concilio vaticano II: divenire insignificante in un mondo emancipato dal dominio del sacro e dell’assoluto.”
Invece, secondo l’Autore, proprio l’esperienza di papa Giovanni e del Concilio Vaticano II dimostra che è possibile liberare la fede cristiana dalla paura: il contributo di tanti cristiani sta proprio in quel loro essere “dentro la “relatività” delle relazioni e non nell’assolutezza dell’istituzione e del dogma”, perché conclude don Mazzi “Nel futuro di un mondo pacificato a cui essi tendono non c’è posto … per ciò che si è costruito sulla dimensione dell’assoluto, dell’indefettibile e dell’immortale”
Se don Mazzi ha ragione allora sono capibili le ragioni che spingono l’attuale dirigenza della chiesa cattolica ad arroccarsi su posizioni decisamente reazionarie: è in ballo la sopravvivenza stessa del’istituzione chiesa e la paura, lungi dal poter essere sconfitta, sta prendendo in essa il sopravvento come mai era accaduto.
Don Mazzi parla d’altro. A lui stanno a cuore i valori non la gerarchia. E per questo che non teme il futuro. Non lo spaventa neppure la profezia di Gioacchino secondo cui, con l’avvento dell’età dello Spirito “Dio si manifesta nell’intimo e dall’intimo di ogni persona attraverso la libertà spirituale e l’amore universale”. Quando questo avverrà non ci sarà più bisogno, come giustamente aveva preconizzato il monaco calabrese, né del Tempio, né del Trono, ma di ciò don Mazzi non si preoccupa.
Perché don Mazzi non parla alla gerarchia e forse neppure ai cristiani.
Don Mazzi parla ad ogni uomo.