PASQUALE SCHETTINI
TRECCHINA
NEL PRESENTE
E NEL PASSATO
1936
ALLA CARA MEMORIA
DI
FRANCESCO E RAFFAELE SCHETTINI
CHE TANTA PARTE PRESERO ALLE VICENDE GARIBALDINE
E PER IL RISORGIMENTO DELLA NOSTRA PATRIA
QUESTO MODESTO LAVORO
DEDICA L’AUTORE
QUAL SEGNO DI VIVO, AFFETTUOSO ED INDELEBILE
RICORDO
MUNICIPIO DI TRECCHINA
Al prof. Pasquale Schettini esprimiamo
la gratitudine di questo Comune, che vede
finalmente raccolte e pubblicate le notizie
storiche di Trecchina e siamo sicuri che l’opera,
così amorevolmente compilata, incontrerà largo
favore, per l’interesse che desta nei figli di
questo paese e per i pregi di cui l’ha arricchita
il bravo autore.
L’Amministrazione Municipale
Prefazione
….. dedicit patriae quid debeat et quid amicis.
Orazio
Fortuna, per l’autore di questo libro, che la profonda e capillare critica metodologica del Croce abbia liberato il campo della storiografia dal vieto pregiudizio, in grazia del quale solo i grossi volumoni su fatti storici salienti e capitali potevano ambire all’onore di denominarsi “storia”, e indifferenza e dispregio toccavano quasi sempre alle umili e minute indagini su fatti e personaggi “locali”, anche se circonfusi di quella rassicurante aureola che sempre accompagna il passato.
Oggi invece, dopo Croce e la sua “Storia come pensiero e come azione”, si e più disposti a porgere l’orecchio a qualsiasi indagine storiografica, anche se volta a umili personaggi e oscuri avvenimenti di piccoli e sperduti paeselli montani, e solo si cerca e si vuole cogliere in questi scritti – lunghi o brevi, solenni o dimessi – il palpito di un sincero interessamento a vicende che, per essersi svolte in una cerchia ristretta, non cessano per questo di essere integrante patrimonio di tutta intera l’umanità. Si e insomma passati, fortunatamente, dalla valutazione esteriore di un “genere” letterario a quella, più intima e confacente, del significato spirituale che sempre anima un qualsiasi avvenimento umano e la ricostruzione che l’uomo, qualsiasi uomo, ne può dare.
Alla luce di questa nuova metodologia e critica storiografica, il lavoro del Prof. Schettini potrà, senza dubbio, varcare i limiti che la modestia schiva dell’autore ha voluto tracciarsi; e se – come l”A. si e anzitutto proposto – esso arriverà gradito e caro ai numerosi figli di Trecchina che all’estero, e particolarmente nelle Americhe, ritroveranno in queste pagine l’eco di un passato a cui si sentono legati da tante sottili fibrille, e riconosceranno nella voce di chi narra ed espone le oscure e lontane vicende della loro terra natia la commozione stessa del loro cuore filiale che all’unisono palpita e ricorda, – a queste indagini potrà anche arridere il successo di un più vasto interessamento degli studiosi, se per avventura dovessero rinvenirvi un nuovo (sia pur modesto) apporto a quella vasta tela che l’uomo, da sé costruendola, da sé ripercorre continuamente col pensiero.
Nessun filo, in essa, si perde mai veramente o si dimostra del tutto inutile e superfluo; può talvolta avvenire, però, che questo o quel filo si sbiadisca o smarrisca nell’intrico della complessa tela, ed e meritoria fatica, perciò, quella di chi ne ritrova il capo e pazientemente lo ripone nel posto che più gli si addice.
Ho l’impressione che P. Schettini qualche filo smarrito lo abbia colto davvero e opportunamente riposto nell’ordito di quel vasto telaio, a cui s’indirizzano tante energie di pensiero e di azione: il telaio dove si dispiega e si tesse la storia d’Italia.
A me, in particolare, questo libro e carissimo perché mi riporta (con alcune sue rievocazioni di ambienti e persone e fatti ed usanze) a un’epoca relativamente vicina nel tempo – quella, cioè, della mia infanzia e prima giovinezza – ma già lontanissima e quasi stinta per tanta bruma che gli anni atroci di questa guerra immane vi hanno di poi accumulato, suscitandone nel cuore un impianto cruccioso ed amaro; epoca in cui, nel breve cerchio delle nostre case e della nostra bella piazza solatia, si aggirava una schiera fattiva, intelligente e briosa di “galantuomini” a tutta prova, di cui si va già spegnendo nei più giovani l’affetto e la memoria, e di cui l’autore di questo libro ha avuto in sorte dal destino di essere al tempo stesso l’ultimo superstite e l’aggiornatissimo cronista.
Sono anche grato all’A. perché, qua e là, ha segnato nomi a me diletti e sacri: quello di mio nonno, quello di mio padre…; perché, insomma, ha così affettuosamente rievocato care ombre, con le quali anelo – in tanto fastidio dell’odioso presente – a ricongiungermi presto in più fidi colloqui di un rinnovato e rasserenato amore.
E da queste pagine, infine, un altro vantaggio ho tratto, un quasi gioioso compiacimento: quello di constatare, ancora una volta, come veramente nel suo profondo ognuno di noi debba riconoscersi, si, filius temporis ma anche – e forse piu -filius loci.
Napoli, 15 maggio 1947
Gino Rotondano
A chi legge
Assai vaghe ed incerte sono le vicende storiche del nostro Comune, poiché, inesplicabilmente, nessuno degli antenati nostri, fra i quali pur abbondarono le persone colte e meritevoli, pensò mai di raccoglierle e tramandarle ai futuri.
L’opuscolo, che qui segue, ha il fine di non far tramandare ancora a quelli che verranno, l’oscurità da cui è stato finora avvolto il passato del nostro paese, oscurità che, col trascorrere degli anni, sarebbe divenuta sempre più fitta ed impenetrabile. Esso ha inoltre lo scopo di render noto che Trecchina ebbe, nel passato, degni figli e buoni patrioti, la cui opera, a prò della Patria e del progresso civile, potrebbe servire di esempio e di monito alla nuova generazione. Infine ha ancora l’intento di far conoscere le bellezze naturali ed etniche del nostro paese, alle quali fanno corona la innata ospitalità e cortesia dei suoi abitanti.
Oltre a queste mire, il presente opuscolo non ne ha altre e tanto meno pretese letterarie, poiché la narrazione dei fatti di cronaca procede alla buona, in modo da essere accessibile ad ogni classe di cittadini. A tal fine l’autore ha pure creduto, in alcuni capitoli, di far precedere, ai fatti di cronaca paesana, un fugace cenno dei fatti storici generali della Regione o dell’Italia, che, coi primi, avessero una qualche relazione o li avessero addirittura originati e ciò per avere una spiegazione sempre più esauriente dei fatti narrati.
Egli si augura, quindi, che a tanto sia riuscito ed, in ogni caso, occorre tener presente le buone intenzioni da cui e stato animato, nel compiere questo lavoro. Per il quale, infine, porge i suoi ringraziamenti al dott. prof. Gino Rotondano, al dott, prof. Antonio Paolillo ed al dott. avv. Enrichetto Marotta, suoi antichi discepoli, che hanno voluto coadiuvarlo nelle ricerche fuori del Comune, alle quali egli non avrebbe potuto attendere, a causa della sua età e della sua malferma salute.
L’A.
Amenità di luoghi
Situato a piè del monte S. Maria, sulla riva destra del fiume Noce, l’abitato di Trecchina si compone del vecchio paese, accoccolato sul poggio denominato il Castello o Rocca, su cui troneggiano i ruderi dell’antico palazzo baronale, e della parte nuova e più vasta, edificata quasi tutta in pianura, congiunta alla prima dalla breve ed ampia via S. Domenico.
Una vastissima piazza, attraversata dalla rotabile Maratea – Lauria, intersecata da viali di acacie e di tigli, fra i quali si elevavano imponenti dei grandi olmi secolari, illuminata riccamente a luce elettrica, circondata dai migliori edifizi, fra cui la Chiesa Madre, con l’alto campanile turrito, costituisce la parte centrale dell’abitato, nelle cui vie scintillano frequenti fontanine d’acqua potabilissima.
La piazza offre all’ospite la prima e più favorevole impressione, che successivamente si estende a tutto il resto del paese, il quale gli si presenta allegro per la vivacità e freschezza dei colori, pulito per le condizioni igieniche delle sue abitazioni, delle sue vie, dei suoi dintorni.
Trecchina, inoltre, è stata sempre gentile ed attraente per la innata cortesia della sua popolazione e specialmente per la bellezza e robustezza fisica e morale delle sue donne.
L’illustre medico e letterato Giuseppe Maria Scaldaferri, della vicina Lauria, recandosi spesse volte in Trecchina, per l’esercizio della sua professione, contrasse rapporti di ottima amicizia col dott. cav. Ercole Schettini, in casa del quale conobbe una sorella di lui, la signorina Silvia Schettini, che attrasse in modo particolare le simpatie e l’ammirazione del dott. Scaldaferri. Al quale in genere, piacevano le giovanette di Trecchina per la loro bellezza e per la loro grazia.
E fu proprio in occasione del matrimonio della signorina Silvia Schettini che il dott. Scaldaferri recitò i bei versi che seguono, con la convinzione di tributare un sincero omaggio alle virtù ed al fascino di tutte le trecchinesi, perché, a giudizio dello stesso autore, nella signorina Silvia Schettini si adunavano la bellezza e le doti delle nostre donne:
LA TRECCHINESE
L’ho veduta in mezzo al Piano
E mi sta scolpita in core
Un mazzetto aveva in mano,
Sovra il sen portava un fiore.
Dignitosa, sorridente
Mentre andava per la via,
Risplendeva fra la gente
Tutta grazia e leggiadria.
E nel volgermi cortese
Un saluto d’amistà,
Io le dissi: — O, Trecchinese,
Sei la Dea della beltà!
Tu dall’aure vagheggiata
De’ tuoi verdi castagneti,
Degli amanti sei la fata,
Sei la musa dei poeti.
La tua gaia giovinezza;
Onde l’anime innamori,
Ha dei cedri la freschezza,
La fragranza de’ tuoi fiori.
Ha dell’italo paese
La gentil soavità;
0, mia cara Trecchinese,
Sei la Dea della beltà!
Lieta, florida qual rosa,
Che si specchia nel suo fonte,
Sei simpatica, amorosa
Come cerva del tuo Monte,
Bianca come il sol che brilla
Sovra il Bolago il mattino,
Rubiconda come stilla
Dell’energico tuo vino;
Il tesor del tuo paese
Tutto in te raccolto sta,
O mia bella Trecchinese
Sei la Dea della beltà!
Pronta, altera come il fiume
Che minaccia la costiera
Mostri ognor ch’e tuo costume
Esser nobile e sincera.
Hai di Dama il portamento;
Le attrattive di Sirena;
Hai nell’alma il sentimento
Di un’amante Maddalena.
Le tue labbra sono accese
Di una arcana voluttà,
0 mia cara Trecchinese
Sei la Dea della beltà!
Nel ricolmo e niveo petto,
Nei bruni occhi è tanto amore,
Che un tuo sguardo, un sol tuo detto
Fa tremar nel seno il core.
Il color che t’invermiglia,
La gentil disinvoltura
Fan l’ottava meraviglia
In te scorger di Natura.
Nel comporti ella ci spese
Ogni studio e abilità,
Per far dir: la Trecchinese
E’ la Dea della beltà.
Quando scendi alla fontana
Col barile o con la cesta,
Tu somigli una Sultana
Col turbante sulla testa;
Se ti rechi a sentir messa,
Dignitosa, umile e pia,
Tu somigli una Badessa,
Tu somigli una Maria.
Una santa nella chiesa,
Un folletto in società,
Tu, mia cara Trecchinese,
Sei la Dea della beltà!
Quando al suon della viola
Balli in abito da festa,
Sembri rondine che vola
Sopra il lago e non si arresta.
Se favelli, se sorridi,
Se a mestizia atteggi il viso,
Tu commuovi, tu conquidi,
Tu trasporti in Paradiso.
Sempre affabile, cortese,
Tutta vezzi le ingenuità,
Sei perfetta, o Trecchinese,
Sei la Dea della beltà!
Oh, se a’ fianchi avessi l’ali,
Ingannato, ti direi:
Sei farfalla ne’ Pedali
In paese un angiol sei.
Un degli angioli diletti,
Che fan gli uomini beati,
E di cari e dolci affetti
Fan gioir gl’innamorati.
Si può dir senza contese,
Che per grazia e nobiltà,
Tu, mia cara Trecchinese,
Sei la Dea della beltà!
Non ti vide Raffaello
Così fresca e porporina,
Quando prese per modello
La vantata Fornarina.
Ma venendo a S. Michele,
Tu d’amor l’avresti avvinto,
E sui muri e sulle tele
Te soltanto avrìa dipinto.
Un pittor che far palese
Vuole al mondo quanto sa,
Pinga pur la Trecchinese,
Ch’è la Dea della beltà!
Quando il saggio Salomone,
Cui piacea la buona vita,
Avea perso la ragione
Per la bella Sulamita;
E nel cantico sublime
Sfogar volle il casto amore,
Da te forse avea le rime
Nel profetico suo cuore.
Chi può dir che non intese,
Nella sua divinità,
Di lodar la Trecchinese
Ch’è la Dea della beltà!
Belle ancor, vezzose sono
D’altre terre le donzelle;
Ma a te sol dovuto è il trono,
O la bella, fra le belle.
E tu regna, e di chi t’ama
Sgombra l’ansie e il dolor
Già regina ognun ti chiama
Della gioia e dell’amor
Chi rammenta il tuo paese
La tua grazia e nobiltà,
Dirà sempre: o Trecchinese
Sei la Dea della beltà!
[…]