L’ultima intervista a Carlo Maria Martini concessa a Georg Sporschill e a Federica Radice Fossati Confalonieri, pubblicata sul Corriere della Sera del 1 settembre 2012, mi ha colpito particolarmente per la coraggiosa franchezza con cui vengono affrontate tematiche assai difficili.
“La chiesa è stanca… Il benessere pesa… Ci troviamo come il ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo… Potremmo cercare uomini che siano liberi e più vicini al prossimo. Come lo sono stati il vescovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvador. Dove sono da noi gli eroi a cui ispirarci?”
Martini si chiede come liberare la brace dalla cenere e “far rinvigorire la fiamma dell’amore”. E cerca di individuare una risposta: occorre riconoscere gli errori e iniziare una strada di “radicale cambiamento” a partire dal Concilio Vaticano II “che ha restituito la Bibbia ai cattolici”. Coloro che percepiranno la Parola che dalla Bibbia emerge saranno i rinnovatori della Chiesa perché “né il clero, né il diritto ecclesiale possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo.”
Purtroppo “La Chiesa è rimasta indietro di duecento anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e dipendo dall’aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l’amore. Questo amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l’amore vince la stanchezza. Dio è Amore”.
Questo articolo citava un libro: Carlo Maria Martini – Georg Sporschill, Conversazioni notturne a Gerusalemme. Mi sono affrettato a comperarlo e a leggerlo.
Intanto Georg Sporschill non è un prete qualsiasi. È un gesuita austriaco che vive insieme ai bambini di strada in Romania e Moldavia e che, quindi, conosce e affronta i problemi della miseria, della povertà e della solitudine. Le domande che fa, come quelle dello stesso Martini, affrontano la questione di Dio e del male, ma riguardano tutti gli uomini, anche coloro che non hanno fede, perché cercano di dare senso ad una realtà sociale in cui tutto sembra perso e in cui la sfiducia sembra ormai prevalere.
Martini è vecchio e stanco. È provato dalla malattia ma la sua grandiosa umanità emerge quando, già nelle primissime pagine, confessa che, mentre da vescovo chiedeva a Dio ciò che la Chiesa avrebbe dovuto fare per affrontare i grandi problemi che affliggono l’uomo, “oggi preferisco chiedere e pregare che mi accolga e che non mi lasci solo quando sarò in difficoltà.” (pag. 12) “In quei momenti difficili, nel distacco o in punto di morte, lo pregherei di inviarmi angeli, santi o amici che mi tengano la mano e mi aiutino a superare la mia paura.” (11)
L’umana difficoltà, il confronto con la sofferenza e la morte, non lo inducono però alla remissività. Anzi, immediatamente afferma che “la fede suscita l’amore, porta a battersi per gli altri. Dalla dedizione, malgrado la sofferenza nasce la speranza.” (12)
È questo battersi per gli altri che mi ha profondamente colpito.
È un ritorno forte al Vaticano II, dopo cinquanta anni in cui è prevalso il pregare e il fare per sé, per la propria anima e la propria salvezza. Penso che questi siano i motivi che hanno spinto molti cattolici – per fortuna non tutti – a frequentare assiduamente le chiese e insieme ad accettare passivamente e con connivenza l’incultura, l’egoismo e i disvalori degli uomini che negli ultimi vent’anni ci hanno governato.
Martini ci incalza: “Non dobbiamo limitarci a domandare: perché, buon Dio, esiste tutto questo? Dovremmo chiederci anche: qual è la mia parte, e come posso io cambiare la situazione? E ancora: a quale limitazione e a quale rinuncia sono disposto affinché cambi qualcosa? Se in linea di principio non so rispondere alla domanda sulla sofferenza, posso pur sempre interrogare la mia vita: dove posso intervenire per migliorare la situazione? Se mi comporto in questo modo, molta dell’infelicità cambierà. Lo vedo soprattutto nei giovani.” (14)
Da ateo convinto quale io sono, mi sento in perfetta sintonia con il cardinal Martini.
“Certo esiste l’inferno, solo che nessuno sa se vi si trova qualcuno. Eppure dobbiamo tenerne conto. L’inferno esiste ed è già sulla Terra.” (18)
“Il miglior esempio è Caino: Dio segna Caino per proteggerlo e far sì che nessuno possa ucciderlo. Ma prima Caino si è macchiato di una colpa: ha ucciso suo fratello. Nella Bibbia Dio ama gli stranieri, aiuta i deboli, vuole che soccorriamo e serviamo in diversi modi tutti gli uomini. L’uomo, invece, e anche la Chiesa, corrono sempre il rischio di porsi come assoluti.” (20)
Per amare gli altri dobbiamo imparare a conoscerli. Dobbiamo, contro i sepolcri imbiancati del politicamente corretto, avere la forza di “intervenire ed agire” e per poterlo fare dobbiamo avere il coraggio di esprimere opinioni. Il cardinale ci ricorda ciò che san Paolo raccomanda a tutti: “L’uomo spirituale giudica ogni cosa.” (cfr. 1 Cor 2,15)
Il più importante insegnamento di Gesù è “ama il tuo prossimo, amerai il prossimo tuo come te stesso, oppure, come recita l’originale ebraico: amerai il prossimo perché egli è come te.” Ciò implica il coraggio di una scelta che a sua volta si basa su un giudizio.
Oggi è di moda non criminalizzare il nemico e con questa formuletta si possono stringere mani intrise di sangue o abbracciare uomini che hanno buttato ogni morale nel letame.
Martini ci ricorda Franz Jägerstätter, un martire austriaco che la chiesa ha beatificato nel 2007. “Nel 1943 fu giustiziato dai nazisti a causa della sua affermazione che non poteva essere al tempo stesso nazista e cristiano.” (30)
Il futuro ci riserva maggiori difficoltà perché “chi oggi è bambino o adolescente non può più (o molto meno di un tempo) fare riferimento a un ambito sociale o religioso omogeneo. Esso non esiste più. Perciò… saranno necessarie una forza e una capacità decisionali ancora maggiori. E una sfida senza precedenti.” Ma a partire dal fatto che dobbiamo conoscerci meglio “per poterci capire e distinguere.” (45) Il vero problema sarà che “dovremo essere amichevoli con tutti, ma non possiamo essere amici di tutti.” (53)
L’azione dei preti diventerà difficile. Non dovranno sentirsi soli. La comunità dovrebbe offrire loro uno stato in cui possano sentirsi amati e protetti ma, in quest’ottica, ricordiamoci, suggerisce Martini, “che il celibato dei preti è disciplinato solo dal Concilio Tridentino del XVI secolo, sebbene il celibato obbligatorio esistesse già dall’XI secolo.” (32)
E poi il capitolo dei giovani che per l’anziano cardinale è fondamentale.
“Ai giovani non possiamo insegnare nulla, possiamo solo aiutarli ad ascoltare il loro maestro interiore. Suonano strane, ma sono parole di Sant’Agostino. Egli afferma con grande chiarezza che possiamo solo creare le condizioni per consentire a un giovane di capire. La comprensione, il giudizio, deve essergli dato dalla sua interiorità.” (57) Ci sta dicendo, il cardinal Martini, che le parole contano meno delle azioni. Che è più importante il nostro esempio, quel che facciamo tutti i giorni, rispetto a quel che andiamo raccontando.
Come è possibile non essere d’accordo con lui?
E poco innanzi “L’utopia è importante: solo quando hai una visione lo spirito ti fa innalzare al di sopra di meschini interessi.” (62) È il caso di molti giovani ma anche di molti atei che hanno una spiritualità, un coraggio e una combattività, molto maggiore di quella posseduta da una buona parte di cristiani.
“Vorrei incoraggiare i ragazzi a scegliere e a non aspettare troppo a lungo. Chi non prende decisioni si lascia sfuggire la vita… Chi ha il coraggio rischia di sbagliare ma cosa più importante è che solo gli audaci cambiano il mondo rendendolo migliore.” (65)
Ma bisogna prenderli sul serio, i giovani, ed accettarli come collaboratori attivi e non come fossero in ogni momento da controllare e correggere.
Occorre anche saper parlare loro. E saper parlare a tutti.
“Non possiamo sempre gridare forte la verità. Essa presuppone amore e sensibilità.” (110)
Ma attenzione! “Gesù ha dato la sua vita per la giustizia…. Chi interviene al fianco degli uomini, che sono come pecore senza pastore, e li riunisce rendendoli consapevoli, diventa pericoloso agli occhi dei potenti. I cristiani che adottano “l’opzione a favore dei poveri” di Gesù devono ancor oggi aspettarsi persecuzioni. Dai teologi della liberazione in Sudamerica, agli operatori sociali nei paesi del benessere, essi trovano inevitabilmente resistenze, perché vivono nella convinzione che l’incontro con i poveri e la battaglia contro la povertà siano il luogo di elezione dell’incontro con Dio nel nostro mondo.”
La conclusione?
“Consiglia ai tuoi figli un mondo che non sia rovinato.” (124) E poi poco importa l’esortazione a trovare la strada nella Bibbia, poco importa l’esortazione di altri a trovarne i motivi in mille altri modi diversi: quel che conta è che si vinca la paura, si abbia il coraggio di giudicare e di agire affinché il mondo non divenga un deserto.