Un bel libro.
I vecchi che numerosi vi si incontrano, con le loro storie, i loro tic, i loro bisogni e la loro grande dignità rimangono nel cuore. Come dimenticare la Iride che sta male e l’è morta ancor piena di vita. La Marisa che chiama la signorina perchè ha diritto anche lei ad avere un po’ di compagnia. E la Giovanna che parla da sola perché me l’ha consigliato un medico tanti anni fa per tenermi in esercizio con la voce e con la testa.
Ci sono anche uomini nelle case di riposo in cui Silvina ha lavorato: l’innamorato Antonio, il meticoloso Giacomo e il serio, burbero, rude e di poche parole Pasquale, ma a prevalere sono donne. Donne che hanno vissuto senza pretese, sottomesse ai genitori e poi, da sposate, al marito, dedite ai figli. Donne che hanno dovuto fronteggiare stenti e ristrettezze per l’intera vita, ma che hanno amato intensamente in ogni occasione.
Questo libro, però, non è solo romanzo vero di molte vite. E’ un saggio sul lavoro e insieme critica forte all’esistente.
Vi si trovano, detti con linguaggio semplice, quasi con pudore, inframmentati ai racconti di vita reale, pensieri critici condivisibili sullo stile di vita che è modo grande e potente di fare politica, ovvero di relazionarsi con gli altri.
Silvina sceglie il part-time e non il lavoro a tempo pieno perché “consapevole che troppa stanchezza mal si concilia con la [sua] filosofia, comprendente uno stile di vita sobrio, compatibile con un guadagno ridotto.” Ma anche per quel suo bisogno di aggiornarsi, di frequentare corsi, di prender parte a progetti. E anche, importantissimo, perché non ci si può dimenticare dei propri cari e nemmeno di se stessi.
Traspare, e proprio a partire da questa filosofia di vita, la consapevolezza che l’esigenza più grande, quella che ci rende umani più di ogni altra, sia la relazione con l’altro, anche e soprattutto nel lavoro. Un lavoro dignitoso è dunque un lavoro che sa costruire relazioni e non puramente merci e che sa, quindi, essere consono alla vita.
Pensando a Margherita che le aveva detto Sa, noi ad una certa età diventiamo delicati … abbiamo bisogno di parlare, Silvina annota: “Stavo facendo un’esperienza non retribuita e per questo ho potuto trattenermi parecchio con lei: in seguito sarebbe stato impensabile. Le infermiere sono pagate per lavorare non per chiacchierare.”
Fa rabbia percepire sulla pelle una realtà così distante e avversa ad ogni vero ed essenziale bisogno umano. Ma la sofferenza che ci invade è anche ciò che ci stimola a reagire, incoraggiati da Silvina che sottovoce, con umiltà, quasi a non darsi importanza, ci dice possibile e normale riacquistare umanità. Ci dice che si può essere diversi. Che è possibile costruire un domani migliore già a partire da oggi.
Forse, come fa lei, adottando consapevolmente stili di vita più sobri potremo imparare a rispettare maggiormente gli altri e la natura tutta. Forse riusciremo a cogliere l’essenzialità della relazione che ci lega agli altri e al mondo. A quel punto, ci accorgeremo di aver imboccato un sentiero diverso e gli orizzonti vasti che vedremo apparire, forse, sapranno ridarci speranza. Varrebbe la pena provarci.