Potrebbe apparire ambizioso il programma di Vandana Shiva e ricco di sogni.
Una democrazia della comunità terrena che prende in considerazione non solo gli interessi del genere umano ma che “si estende a tutte le forme di vita che popolano la terra” è sicuramente qualcosa d’altro, di immensamente più grande e profondo, del chiacchiericcio che dalle nostre parti siamo, purtroppo, abituati a sentire. Immagino però che lei, rivendicando il suo diritto a sognare, non si scomponga più di tanto di fronte ad una simile critica. E’ perfettamente conscia, infatti, di occuparsi non di astrazioni ma di tutte quelle reali pratiche che si stanno diffondendo in ogni angolo del globo e che riguardano popoli “che reclamano i loro beni comuni, le loro risorse e il loro diritto di vivere liberi e in pace, preservando la loro identità e dignità”. Sa anche, Vandana Shiva, ed è probabilmente da questo che nasce la sua fiducia, che ogni piccola ed individuale azione quotidiana, proprio perché radicata nel tessuto di una realtà locale può, ad averne consapevolezza, incidere e modificare l’intera realtà globale. “Come ci insegna l’esempio di Gandhi e come conferma la nostra esperienza all’interno del movimento democratico emergente, i regimi totalitari e dittatoriali si combattono a partire dalle realtà locali, perché i processi e le istituzioni su larga scala sono controllati dal potere dominante. I piccoli successi sono invece alla portata di milioni di individui che insieme possono dare vita a nuovi spazi di democrazia e libertà. Su larga scala le alternative che ci vengono concesse sono ben poche. Per converso la realtà quotidiana ci offre mille occasioni per mettere a frutto le nostre energie.”
La sua analisi parte dal riconoscimento che l’economia del libero mercato non solo è esiziale alla vita ma è anche difficile da combattere perchè nasconde e maschera la realtà.
E’ necessaria quindi un’operazione culturale puntuale e potente che ci riporti al vero.
L’economia di mercato vorrebbe farci credere di essere l’unica possibile modalità del produrre: in realtà, sebbene tenda ad inglobare tutto l’esistente distruggendo ogni cultura diversa da sé, non è ancora riuscita, se non nelle coscienze obnubilate dei suoi accaniti e agguerriti difensori, ad eliminare le altre due esistenti e potentissime forme di economie che consentono la vita, le economie della natura e della sussistenza.
La natura è il più grande produttore del mondo, “produce beni e servizi quali l’acqua che viene riciclata e distribuita attraverso il ciclo idrico, i microrganismi che rendono fertile il suolo, l’impollinazione che consente alle piante di riprodursi. L’ingegno e le capacità produttive degli esseri umani appaiono insignificanti in confronto all’economia della natura”.
L’economia di mercato tende ad appropriarsi dei prodotti della natura ma questi non sono destinati ad essere merci: sono beni comuni che appartengono a tutti.
L’economia di mercato tende inoltre a “sfruttare eccessivamente le risorse della natura e ad alterarne i meccanismi riproduttivi” fino a causare disastri ambientali, variazioni climatiche e persino sottosviluppo.
Al contrario l’economia di sussistenza, che impegna e offre occasioni di vita ai due terzi della popolazione mondiale, con i suoi artigiani, i pescatori, i braccianti agricoli e le popolazioni indigene che vivono ancora in simbiosi con il loro habitat, non altera in nessun modo l’equilibrio ecologico. Attraverso la cooperazione e gli scambi reciproci, questo modo molto antico del produrre, riesce anche a fornire un modello alternativo di società basato sulla solidarietà e sulla compassione.
L’operazione culturale di smascheramento prodotta da Vandana Shiva è puntuale e potente. Tocca persino i miti fondanti su cui l’economia di mercato si regge e costruisce il suo racconto: l’elevata produttività raggiunta e i bassissimi prezzi dei prodotti alimentari.
Di solito noi intendiamo per produttività la quantità di prodotto nell’unità di tempo lavorativo: scopriamo così che oggi produciamo più merci nello stesso tempo di quante se ne potevano produrre solo qualche anno fa. La deduzione che ne traiamo è che la produttività è aumentata e noi ne siamo soddisfatti. Non abbiamo più bisogno di chiederci se questo ragionamento sia giusto. Se il risparmio di mano d’opera che deriva dall’impiego di nuove tecnologie e di nuovi prodotti chimici non sia da pagare, e con gli interessi, da qualche altra parte. Perché nei nostri conteggi consideriamo il costo della mano d’opera che abbonda e non quello delle risorse naturali che utilizziamo e che invece sono limitate? In realtà se tenessimo conto delle risorse esterne di cui abbisogna l’economia di mercato e le mettessimo in conto, ad esempio in agricoltura scopriremmo che la sua produttività è minore di quella ottenuta con metodi di coltivazione capaci di rinnovare e riutilizzare le risorse impiegate.
E per i prezzi il discorso è simile. I prezzi bassi delle multinazionali sono ottenuti grazie allo sfruttamento della classe operaia impiegata, grazie alle sovvenzioni che governi o istituzioni globali concedono loro, grazie alle vecchie e nuove recinzioni in cui pretendono di rinchiudere ciò che considerano di loro proprietà ma che invece appartiene non solo all’umanità ma ad ogni forma di vita esistente sulla Terra, grazie alle esternalizzazioni, a carico della collettività, degli enormi costi derivati dalla distruzione ambientale che i loro processi produttivi causano.
Il risultato è l’arricchimento di pochissimi e l’esclusione dei molti.
Interi paesi sono costretti alla rovina perché i loro prodotti non sono più competitivi. Sono costretti a impiantare monoculture che, nel giro di qualche anno, devastano ulteriormente i loro territori. Sono costretti ad indebitarsi. Sono costretti ad essere governati da oligarchie.
Ne consegue, anche nei paesi cosiddetti ricchi, un incremento costante della povertà, della fame, ma anche dei fondamentalismi religiosi e politici. Al contempo, la distruzione dell’unico globo a nostra disposizione prosegue spedita verso la sua tragica fine.
Le pratiche dell’economia di mercato tendenti a massimizzare i profitti producono danni enormi il cui costo viene sempre sostenuto dalle popolazioni locali.
Ed quindi dal locale che può nascere, e sta già nascendo in molti luoghi della Terra, la voglia di combattere con i metodi della non violenza e della disobbedienza, lo strapotere delle multinazionali e degli stati che sono al loro servizio.
Le molteplici e diverse pratiche diffuse in ogni angolo della Terra, tese a sfamare gli uomini rispettando i tempi e i modi della natura, sono il valore universale che potrà salvarci.
Insegnano ad ogni uomo il bisogno della diversità, della democrazia, della convivenza pacifica, della solidarietà. Insegnano la compassione e l’amore.
Su di loro, secondo Vandana Shiva, si potrà costruire una libera e consapevole società di produttori.