E’ il libro sul camminare più completo che io abbia mai letto.
Vi si narra, con tono semplice, a volte ironico, sempre appassionato, dei molti filosofi camminatori e dei pochi che hanno voluto e saputo anche riflettere sul camminare; di teorie scientifiche sul come la deambulazione ha sospinto l’uomo fuori dal regno animale; dei poeti e dei romanzieri che dal camminare sono stati ispirati.
La Solnit, sensibile critica d’arte statunitense, non tralascia di esaminare i luoghi in cui si è camminato: dai giardini, nelle varie tipologie che hanno assunto nel corso dei secoli, alla natura aperta e selvaggia; dalle città tortuose, oscure e solitarie pre-rivoluzione industriale, alle moderne città dei grandi viali alberati; dai porticati e dalle gallerie fino ai contemporanei centri commerciali.
E non tralascia neppure di analizzare i modi del camminare: la marcia militare che, al ritmo di un unico passo subordina al gruppo e all’autorità; la libera marcia delle manifestazioni che rende i singoli capaci di fare la storia; quella dei pellegrinaggi che avvicina al divino; le camminate in montagna fino alle vette o le circumdeambulazioni di origine buddista.
Vengono esaminate le passeggiate mano nella mano che creano la coppia, quelle fatte per mettersi in mostra e chiacchierare con gli amici nei centri urbani delle città latine, le lunghissime camminate fatte per raccogliere fondi, quelle di protesta contro la guerra o quelle a favore della pace, quelle fatte per stabilire un record o quelle fatte di sera, nel cuore di una città, per recarsi a comperare una matita.
Il fatto è, per la Solnit, che “il camminare ha creato sentieri, strade, rotte commerciali; ha generato concezioni di spazio locali e trascontinentali; ha conformato città, parchi; prodotto mappe, guide, attrezzature e, ancora, una vasta biblioteca di racconti e di poemi che ci parlano di camminate, pellegrinaggi, spedizioni alpinistiche, vagabondaggi, e anche di picnic estivi.”
Insomma “il camminare è un modo per costruire il mondo come anche per vivere in esso”.
La scrittrice americana mostra come la cultura del camminare nasca con Rousseau in antitesi alla rivoluzione industriale, quando divenne importante il personale, il privato e la libertà individuale. E che quel condurre la mente “inevitabilmente ad altri argomenti”, che caratterizza sempre il camminare, fa diventare questa attività un atto di rivolta contro la modernità e contro la velocità che ne è l’essenza.
“A me piace camminare perché è lento e sospetto che la mente, come i piedi, possa lavorare alla velocità di circa tre miglia all’ora”, dice.
Dopo Rousseau l’ambiente acquisì sempre maggiore importanza e il camminare da puro movimento, a poco a poco, divenne esperienza del mondo. Si smise di pensare “che il mondo sia un giardino” e si iniziò a pensare a come trasformare il mondo in giardino. Il camminare divenne un atto politico molte volte trasgressivo.
“Il camminare è diventato una delle forze che hanno plasmato il mondo moderno, spesso fungendo da contraltare all’economia.”
Per potere uscire nel mondo a camminare occorre avere tempo libero, occorre avere un posto in cui è possibile andare, occorre avere un corpo sano. Tutte cose da conquistarsi contro gli interessi della proprietà privata, dei profitti, dei mercati. Non a caso molte associazioni escursionistiche, grazie alle quali si diffuse fra milioni di cittadini la voglia di camminare, avevano, agli inizi, ispirazioni socialiste.
Anche il libero accesso ai terreni dovette essere conquistato in lunghi anni di duri scontri. In molti casi, quella battaglia “è stata una specie di guerra di classe”.
Si capisce, perciò, perché la Solnit sostenga essere il camminare l’antitesi del possedere. “Esso postula un’esperienza mobile, gratuita e condivisibile della terra”.
Un altro ostacolo al libero dispiegarsi del camminare sono i pregiudizi diffusi. Le donne, ad esempio, relegate nelle loro case, private delle grandi opportunità che il camminare ha sempre offerto ai maschi, sono private della loro vita e le pagine del libro in cui esse emergono come protagoniste (la rivoluzione francese) o come vittime, sono molto belle ed appassionate.
L’età dell’oro del camminare termina con la creazione dei grandi sobborghi urbani. In seguito, il diffondersi delle automobili, di televisioni, telefoni e computer, ha completato una privatizzazione della vita quotidiana che ha reso “meno necessaria l’uscita nel mondo”.
Ma la società contemporanea riduce lo spazio pubblico: è “fatta di muri, di guardie e di sistemi di sicurezza” che servono a nascondere i danni di un’economia iniqua e, insieme, a realizzare una pratica alternativa alla giustizia sociale.
E’ in questo contesto che il camminare acquista nuovo spazio, perchè “sovverte l’ideale di uno spazio interamente privatizzato e di una folla del tutto controllata, e fornisce un intrattenimento in cui niente è speso o consumato.”
Il camminare si sottrae all’economia del denaro e ci offre un racconto diverso del mondo. Ci ricorda che l’eliminazione di spazi pubblici coincide con l’eliminazione del pubblico e riesce ancora a farci sperare e desiderare una democrazia compiuta.
Il libro di Rebecca Solnit si legge in un fiato nonostante l’enorme mole di informazioni, di dati e di curiosità di cui è colmo, grazie alla semplicità con cui tutto è narrato e grazie al grande amore contagioso che traspare in ogni pagina per il camminare, una pratica che, come il mangiare o il bere, è connaturata alla vita stessa dell’uomo.