Romanzo da leggere e da godere.
E’ la storia di un giovane studente ebreo che, dagli Usa in cui vive, decide di recarsi in Ucraina alla ricerca delle sue radici. Vuole ritrovare la donna che sembra abbia salvato suo nonno dai nazisti e trova una famiglia la cui storia si intreccia doppiamente con la sua. Sono i titolari dell’agenzia “Viaggi tradizione” che si incaricano di accompagnarlo alla ricerca dei luoghi in cui avevano vissuto i suoi avi, ormai cancellati dalle carte e dalla memoria.
Con una vecchia auto sgangherata il nonno, il nipote Alex e una cagnetta assatanata e puzzolente, accompagnano il giovane Safran per immensi spazi in cui sembra scomparsa ogni traccia del passato.
E’ Alex che, unico a comprendere l’inglese, fa da interprete e descrive il viaggio in lettere spedite a Safran ormai tornato in America. Insieme ci racconta di sé e della sua famiglia, dei suoi sogni che alla fine svaporeranno in scelte forti e precise.
Il suo linguaggio esilarante – quanto di meglio gli è concesso dalle sue conoscenze linguistiche – ci fa sorridere più volte nonostante il sentore della tragedia si faccia man mano più presente.
La sua narrazione è frammista ai capitoli in cui Safran narra dei suoi avi, del villaggio in cui nel 1791 inizia il principio del mondo, delle loro abitudini, dei loro tic, dei loro amori, di vicende insieme vere e false, reali e immaginate, tragiche e comiche.
Fino a quando arrivano i nazisti a distruggere e uccidere tutti, fino a cancellare ogni traccia della presenza umana.
Lascia senza parole l’atteggiamento di quel popolo all’avvicinarsi dei rombi dei cannoni e delle bombe devastanti. Lo stesso autore nelle ultime pagine dice “Qui è impossibile andare avanti perché sappiamo cosa succede e ci chiediamo perché loro non lo sanno. O è impossibile perché temiamo che lo sappiano.” Qualche pagina prima ci aveva direttamente coinvolti dicendo “Aspettavano di morire, e non possiamo fargliene una colpa, perché anche noi avremmo fatto lo stesso, e facciamo lo stesso. Ridevano. Scherzavano. Pensavano alle candele del compleanno e aspettavano la morte, e dobbiamo perdonarli. Avvolgevano in carta di giornale le trote giganti di Manachem (i nazisti si avvicinavano a Lutsk), e portavano punte di manzo in cestini di vimini ai picnic sotto gli alti alberi vicino alle cascatelle.”
Alla fine Alex, Safran e anche il nonno avranno compiuto, ognuno, un loro intimo percorso e la tragedia avvenuta nel 1942 potrà congiungersi con gli sconvolgimenti che travolgono la famiglia ucraina. Ma pur nell’enorme continua sofferenza, nulla è definitivamente morto perché la storia continua incessantemente. Infatti il principio del mondo giunge spesso. Ed è in proprio in questo ciclico nuovo inizio che si possono riporre le nostre speranze.
Nel 2005 il regista e grande attore shakespeariano americano Isaak Liev Schreiber, realizzò un discreto e piacevole film tratto dal romanzo (Everything is illuminated). La sceneggiatura fu affidata allo stesso Jonathan Safran Foer e gli attori furono Eljiah Wood nella parte di Safran Foer, Eugene Hütz nella parte del giovane Alex e Boris Leskin nella parte del nonno.